Open Nav emanuele battista

Le Vacanze

Con l’arrivo di giugno, della bella stagione, si apre un altro capitolo dell’anno per ognuno di noi: le vacanze. “Ah… - si sente dire- finalmente le sospirate vacanze!” “Quest’anno non ce la faccio più, sono proprio arrivato alla frutta” “A tutto si può rinunciare, ma non alle vacanze. E di qui parte l’operazione “vacanze”. Quando, con chi, al mare o in montagna, campeggio o albergo, oppure… una comoda pensione, in Italia o all’estero? Interrogativi da risolvere abbastanza rapidamente, prima di trovare tutto esaurito, di non trovare posto e di dover ripiegare su altre soluzioni meno gettonate. E quindi, cataloghi, agenzie, internet, telefonate… un mare di telefonate. Tutto deve essere organizzato, tutto deve essere perfetto, “la vacanza è sacra!” Ma da quando questo fenomeno è diventato così importante per le nostre famiglie? Ma… credo da circa trent’anni. E prima, cosa rappresentava la vacanza? Era cosa per ricchi, solo poche famiglie di professionisti avevano la cultura vacanziera. Per il resto invece, i mesi estivi erano i mesi “delle grandi manovre”. Il 10 agosto rappresentava la data classica per effettuare il trasloco; l’abbondanza di abitazioni libere (vi era il boom edilizio) e le contestuali nascenti esigenze di avere case più grandi per famiglie sempre più numerose, faceva sì che molte famiglie, nel giorno di San Lorenzo cambiassero abitazione. Chi non “sloggiava” e rimaneva nella vecchia casa, comunque “’mbianghesciàve” (imbianchiva le pareti). Un’altra cosa che, con scadenza annuale, andava fatta nei mesi estivi era il rinnovo dei materassi. Questi, andavano svuotati del crine o della lana che venivano “messi al sole a prendere aria” e le fodere ben lavate. Dopo veniva il materassaio che, con un agone e filo di spago, riempiva nuovamente le fodere con lana o crine e con dei movimenti veloci e rapidi ricuciva con maestria i materassi. La prima sera, che ci si adagiava nel letto, con i materassi rifatti, sembrava di essere in paradiso; il profumo di fresco, ma soprattutto la sofficità del giaciglio, conciliava sonni sereni e riposanti. Un’altra tortura, per noi ragazzi, era rappresentata “dalla salsa”. Erano giorni terribili, asfissianti, perché venivamo sottratti dai giochi di strada e reclutati in forza (meglio dire per forza) per l’operazione “bottìglie”. Eh, sì… le così dette “bottìglie” era qualcosa di massacrante, che ci toglieva il buon umore e quasi-quasi faceva tornare la voglia di tornare a scuola. Non era cosa semplice, era abbastanza complessa la preparazione della conserva di pomodoro. S’iniziava con l’acquisto dei pomodori che dovevano essere a buon mercato e di ottima qualità, possibilmente sempre migliori dell’anno precedente, poi si passava al lavaggio delle bottiglie da riutilizzare, lavaggio dei pomodori, bollitura degli stessi (per la salsa) taglio dei pomodori crudi, per quelli che dovevano essere utilizzati per i “pezzetti” che andavano conficcati nelle bottiglie con la maggiore pressione possibile, tale da non lasciare bolle d’aria, aiutandosi pure sbattendo di tanto in tanto le bottiglie su stracci imbevuti d’acqua. Invece i pomodori per salsa venivano fatti passare nella macchinetta  che rendeva il sugo rosso che andava versato nelle bottiglie. Poi, tutte venivano sigillate con tappi di rame o con turacci di sughero per essere adagiate nei tini pieni d’acqua che attraverso la fiamma della legna o delle bombole portavano le bottiglie a bollitura (quante imprecazioni per ogni bottiglia che scoppiava). Il giorno, dopo, finalmente, venivano riposte in cantina. Tutto quanto doveva avvenire con tempi cadenzati, rapidamente e senza distrazioni. Mangiare? Non se parlava nemmeno! Tutta la casa era sequestrata per “le bottìglie”, e i fornelli servivano per altro. Finita la salsa, si pensava alle altre conserve. I pomodori da mettere sott’olio. Prima andavano tagliati in due, posti su un’asse di legno e portati per qualche giorno in terrazzo per l’essicazione. Le melanzane, anch’esse sott’olio, venivano tagliate finemente, mette sotto sale e poste a continua pressione servendosi di vasche d’acqua che facevano da peso. I peperoni sott’aceto, le marmellate di fichi e di albicocche. Un’altra conserva, complessa da confezionare era il vin cotto (serve per guarnire o produrre i dolci di Natale), ricavato dall’uva o dai fichi. Anche qui una fatica immane, e ore e ore di bollitura e filtraggio del composto attraverso uno strofinaccio, fino ad ottenere il denso, profumato e dolce prezioso nettare. E questa era l’estate dei baresi! Altro che vacanze, erano lavori forzati! Solo il giorno di ferragosto le nostre mamme desideravano concedersi un giorno di riposo; si fa per dire, perché prima dovevano aver preparato le vivande (pasta al forno, parmigiana, cotolette e altro), alzandosi dal letto quando era ancora notte. E così, con mezzi di fortuna (traini, lambrette, biciclette, motocarri) si raggiungevano i posti di mare dove si trascorreva la giornata in compagnia di parenti e amici, dopo aver messo in fresco, ben legati in mare, bottiglie di buon vino e l’immancabile melone rosso. Buone vacanze
 
Emanuele Battista

Top